I Racconti...Le fantasie

IL REGALO

E lì era, nel parcheggio del motel, a fianco della sua auto, e la aspettava.
Fatti trovare alle 15 nel parcheggio, le aveva detto, io arriverò, ti caricherò e poi entriamo insieme.
Ma non poteva rischiare di arrivare tardi e dunque era arrivata quasi dieci minuti prima.
Come se fosse stata lì a battere aspettando un cliente insomma. O una cliente se è per quello.
O la sua Padrona, semplicemente.
La verità è che c’era anche il rischio che un cliente si fermasse per davvero in un luogo così, che
d’accordo, non era sulla strada, però il suo abbigliamento non lasciava molti dubbi al perché del
suo essere lì.
Un paio di stivali meravigliosi, un micro vestitino nero comprato su indicazione della sua Padrona,
un cappottino non troppo lungo che copriva il fondo cortissimo del vestitino ma si fermava in tempo
per mostrare le sue gambe avvolte da un velato collant color nudo. Truccata in modo elegante ma
deciso, profumata, i capelli ricci e lunghi sciolti. Una sciarpina leggera intorno al collo, un paio di
occhiali scuri, una borsa sulla spalla.
Un po’ camminava avanti e indietro, un po’ aspettava appoggiata all’auto.
Lei non sapeva che auto guidasse la Padrona, glielo aveva chiesto a dire il vero, ma ridendo Lei le
aveva risposto che certamente non glielo avrebbe detto. E così ad ogni auto che arrivava, e già ne
erano arrivate due, non sapeva se avvicinarsi o piuttosto nascondersi. Una addirittura aveva
parcheggiato nel parcheggio esterno, non distante dalla sua auto e ne era uscita una coppia che
non aveva mancato di lanciarle diverse occhiate curiose. L’altra, invece, era passata oltre senza
fermarsi e lei aveva tirato un sospiro di sollievo.
Le 15.10, la Padrona si faceva aspettare, le faceva godere la sua condizione di troia che batte.
Era inquieta, non lo poteva negare. Ed eccitatissima.
Aveva sognato quel preciso momento da un tempo che a tratti le era sembrato infinito, poi un
giorno aveva conosciuto Lei, ed era stato intenso, da subito. E aveva sentito che con Lei forse ci
sarebbe stato spazio anche per questo.
Un giorno, dopo forse due mesi che si erano conosciute le aveva scritto una mail, era una storia e
non era la prima volta che gliele scriveva. Ma quella volta inviandogliela le aveva scritto
un’annotazione.
Questa non è solo una storia mia Padrona, questo è un regalo che ti vorrei implorare di farmi
vivere.
E la Padrona l’aveva letta e le era piaciuta un sacco e qualche giorno dopo le aveva detto che si,
quel regalo glielo avrebbe fatto.
E lei non aveva creduto ai suoi occhi. Ed ora c’erano “solo” una folla di sensazioni, emozioni ed
aspettative. E paure, si, anche paure. Ma si sarebbero sciolte non appena fosse arrivata Lei.
Se fosse arrivata. Che a questo punto Francesca cominciava ad avere qualche timore.
Un’auto.
Rallenta.
In quel momento Francesca è un po’ distante e così cammina per avvicinarsi.
Passi ampi, sicuri. Padronanza del ruolo, e del marciapiede.
Anche l’auto le va incontro lentamente.
Ormai è quasi all’altezza del finestrino del passeggero. All’interno la riconosce, per fortuna è lei.
Abbassa il finestrino, le viene spontaneo appoggiarsi mentre le parla.
A guardare la scena non si avrebbe avuto alcun dubbio su ciò che stava accadendo.
Ciao mia Padrona, ben arrivata
Ciao Francesca. Un sorriso, quello sguardo. Devo dirtelo io che sei uno schianto o te l’ha già detto
qualcun altro mentre mi aspettavi? E a seguire un altro sguardo che diceva tutto.
Allora, dimmi il numero della stanza, quando sono pronta ti mando un messaggio e tu mi raggiungi.
Va bene Padrona, ti aspetto qui allora.
Mentre Lei entra con l’auto nel Motel Francesca si accomoda nella sua auto.
Riflette, wow, il pomeriggio non è ancora iniziato èd è già quasi l’esperienza più intensa che lei
abbia mai avuto..
Andiamo con ordine:
Era arrivata in Motel poco prima delle 14, che non poteva certo rischiare di fare tardi. Aveva
lasciato l’auto fuori ed era entrata a piedi prendendo una stanza per sé.
Si era spogliata e velocemente sciacquata. La sua pelle era così sensibile, in mattinata si era
depilata tutta, gambe, petto, ascelle, inguine. Ed ora era tutto così meravigliosamente liscio e
sensibile.
Si era incremata le gambe con una crema per il corpo profumata. Poi aveva indossato l’intimo e
sopra un paio di collant meravigliosamente velati che ora le stavano da dio.
E poi con cura si era truccata, pettinata e ingioiellata.
E poi vestita.
E poi profumata.
E le era piaciuto un sacco farlo.
Aveva infilato il suo bavaglio, i trucchi e il cambio dell’intimo nella sua borsetta, che magari le
sarebbero serviti per aggiustarsi durante o alla fine dell’incontro, e poi aveva rassettato un poco la
stanza.
E poi si era allacciata il collare.
Quello che sanciva la sua appartenenza. Lo aveva scelto lei, e quando lo aveva visto non aveva
avuto dubbi, quello era il Suo collare: piuttosto alto, tre strisce di cuoio parallele con tre fibbie
diverse, da stringere individualmente, collegate da quattro strisce verticali che lo rendevano
leggero ma al contempo alto, importante.
Tre fibbie, aveva pensato nel vederlo, una con cui le consegnava il suo corpo, e che allacciata la
rendeva schiava.
La seconda con cui le consegnava il suo culo, e che allacciata la rendeva troia.
La terza con cui le consegnava la sua anima, e che allacciata la rendeva Sua.
Tre legami in uno che una volta stretti intorno al suo collo sancivano disponibilità e appartenenza.
Poi aveva coperto il collare con una leggera sciarpina che ne lasciava appena intravedere un
angolo e indossato il cappottino e gli occhiali da sole.
Ed era uscita dalla porta della stanza a piedi, aveva camminato per i corridoi e si era ritrovata nella
hall. Una donna delle pulizie l’aveva incrociata nel corridoio e l’aveva salutata. Lei aveva
ricambiato il saluto.
Ed era uscita nel parcheggio per fare ciò che era venuta a fare.
Un messaggio.
Vieni Francesca, la tua Padrona ti aspetta. E il numero della stanza.
Un brivido.
Sono da poco passate le 15.30. Scende dall’auto, si sistema appena un po’, come farebbe
qualsiasi donna prima di un incontro importante. Usa il vetro dell’auto come specchio.
Entra in Motel.
Non c’è la ragazza alla reception che l’aveva vista uscire. Ora c’è un uomo. Un secondo di
silenzioso panico, lui la guarda con aria interrogativa.
Ho già fatto il check in, sono nella stanza X. Mi dici dove trovo la stanza Y per favore?
Prendi quel corridoio, al fondo a sinistra. Risponde lui. E le sorride.
Grazie.
E si incammina. Senza troppo soffermarsi sullo scambio che è appena avventuto.
Lei donna che parlava con un uomo. Lei donna vestita in quel modo che parlava con un uomo;
chissà cos’ha pensato.
Passi lunghi, sicuri. Si gode quel momento, lo vive. L’ha immaginato mille volte.
Un respiro lungo, vorrebbe avere uno specchio, non per controllare di essere a posto, solo per
godersi la vista.
Bussa.
Sono io Padrona.
Entra. Luci soffuse.
Si sfila il cappottino e lo appoggia su una sedia.
La Padrona si è seduta su una delle sedie, lei è rimasta in centro alla stanza.
E la Padrona se la divora con gli occhi.
Per un attimo ha la netta sensazione di percepirne il respiro accelerare.
Per un attimo si sente preda che sta per essere predata.
E’ erotico.
E’ intenso.
E’ sensuale.
E’ profondo.
E’ sessuale.
Indossa un abito lucido, forse in pvc, con diversi spacchi, stivali e i collant chiari che un giorno
aveva chiesto a Francesca di comprarle. La parrucca bianca.
Lei si accarezza il corpo. Si gode il tatto del suo miniabito. Sensuale e aggraziata allo stesso
tempo, La seduce con quel suo sguardo da gatta ora avida di attenzioni. Si sente il suo profumo
addosso. E’ inebriante. Eccitante.
Si sente così femmina. Si sente così troia
Emozioni, sensazioni, ma non una parola.
E’ lei che non regge più.
Si avvicina al tavolino e prende il suo bavaglio. Si inginocchia di fronte a lei e glielo porge a mani
giunte. La bocca semiaperta che è una supplica.
Per un attimo indugia con le sua mani sulle gambe della sua Padrona avvolte dai collant.
Silenzio colmo di parole sussurrate senza voce alcuna
E la Padrona finalmente prende l’oggetto nelle sue mani e asseconda la silenziosa supplica della
sua schiava.
Ora la accarezza, le sistema i capelli. La osserva. La annusa.
Si avvicina.
All’orecchio, sottovoce. Sei bellissima Francesca.
Un gemito. Si scioglie.
Cerca i suoi capezzoli.
Francesca glieli offre con gli occhi, col corpo, con tutto.
La stanza è una stanza di medie dimensioni. Specchi ovunque (perché sei così vanitosa avrebbe
detto la Padrona) Francesca l’ha scelta perché ha un letto a baldacchino che consente di legare
sia agli angoli del letto che alle traverse superiori.
Ed ora è in piedi, i polsi legati ad uno degli angoli del letto. Finalmente.
Un plug infilato nel culo.
Non vede l’ora.
I colpi arrivano. Forti.
Il suo corpo che si muove, quasi come se danzasse sulle note dello scoccare del frustino
Quasi come una ballerina nelle mani della sua coreografa.
E la coreografa alterna carezze e colpi. Ad un tratto le sta dietro, sente il suo bacino dietro di lei e
istintivamente inarca la schiena come a invitarla dentro al suo corpo. E invece Lei si gode quella
posizione per assestare i colpi più intensi.
Cinquanta, sessanta, forse settanta colpi. Natiche in fiamme, nessuno li conta.
Lei si contorce e geme.
La Padrona si eccita.
Ha steso la sua plastica nera sul letto, dando alla stanza un look molto diverso dall’originale.
L’ha fatta cambiare, le ha ordinato di sfilarsi i collant e indossare al loro posto un paio di
autoreggenti. E poi l’ha fatta stendere sul letto supina e l’ha legata ai quattro angoli.
Immobilizzata ed esposta.
Lo specchio appeso sopra il letto le restituisce la sua immagine e la sua condizione.
Francesca lo sa, sarà torturata con la cera.
Scruta i movimenti della Padrona con i suoi occhi eccitati e titubanti mentre la Padrona non vede
l’ora di guardarla contorcerla e gemere, di nuovo ballerina di cui manovra i fili con gocce di cera
bollente.
Una candela rossa pronta a sciogliersi e comporre disegni sulla sua pelle.
Colate sulle ascelle. Dolore, meraviglioso dolore. Sul petto. Introno ai capezzoli.
E poi la Padrona le solleva il vestito e scopre il sesso, avvolto solo dall’intimo.
No, non sull’inguine Padrona, ti prego.
E invece.
Le gambe che si contorcono e cercano disperatamente di chiudersi, di negare quei delicati
centimetri di pelle delicata alle torture della Padrona.
Che non ha pietà.
L’interno delle cosce, i bordi dell’intimo, il basso ventre sono la tavolozza del suo piacere.
Lo sguardo di Francesca che la cerca, impaurito ed eccitato mentre cerca un cenno di assenso nel
suo sguardo.
Sembra finalmente appagata. Ma Francesca sa che ora arriverà il vero dolore
La spazzolina di metallo con la quale la Padrona toglie la cera dai punti più delicati della mia pelle
E il collo si allunga verso di lei alla ricerca di un contatto
“Giù Francesca”
Una volta ripulita le slega le gambe.
E’ sopra di lei.
Le toglie il bavaglio, deve prendere in bocca quel fallo che presto entrerà nel suo corpo rendendo
vero quel legame stretto intorno al suo collo.
Ben presto è dentro di lei.
Se la prende, se la scopa. E’ sua.
Le slega le mani. Ora è inginocchiata, con il busto e il viso appoggiati al letto e il culo nelle mani
della sua Padrona che se la sbatte con violenza. La possiede.
Cinque, sei, dieci posizioni diverse. Sente il desiderio della Padrona di possederla e si abbandona
a lei come non avrebbe mai pensato possibile prima di conoscerla. Quella magia che si replica
ogni volta che le si concede, che si fa scopare, che si fa inculare.
Sente il suo fiato dietro di sé, sente crescere la sua eccitazione
E si scopre sempre più femmina, sempre più troia.
Le è sopra, le è sotto.
Le è dentro, le è ovunque. Le è nell’anima.
E’ un crescendo, e non finisce finchè Francesca seduta sopra di lei non la cavalca avidamente
assecondando i movimenti del corpo sotto di lei e godendosi i suoi capelli lunghi che le scendono
lungo la schiena
Sarebbero da filmare quanto sono eccitanti quelle due quando scopano.
Ferma, le intima, non ti muovere
E’ meraviglioso; Francesca sa cosa significa. Delicatamente ne intuisce i minuscoli movimenti e li
asseconda come una troia esperta.
Sguardi che si fissano, respiri trattenuti, piacere che esplode.
Intimità
Silenzio
Condivisione
Appartenenza
E poi, clic, uno sguardo asciutto, una voce secca.
Giù Francesca, lasciami, allontanati.
Come una troia, usata, servita allo scopo.
Meravigliosa sensazione.
La Padrona sembra appagata.
La lascia lì, sul letto.
Si siede su una delle sedie.
Dimmi cosa c’è nel minibar Francesca, ho bisogno di bere qualcosa.
Perché si, è una schiava, una schiava usata, una schiava da usare.
E deve servirla per prima cosa.
Francesca si alza e verifica. Le serve una bibita fresca.
Non ho ancora finito con te Francesca, vai a sistemarti un po’, guarda come sei conciata.
E rimettiti i collant che per un po’ il tuo culo non mi serve più. E gli stivali anche.
Obbedisce. E’ bello ubbidirle. Sistemarsi di nuovo per lei. Lo fa con cura, dedizione. In parte in
bagno in parte lì davanti a lei. Mentre sistema i collant la Padrona le chiede se ha un salvaslip.
Domanda retorica, è d’obbligo averlo quando incontra la Padrona.
Lo applica all’intimo e ci nasconde con cura la sua lieve eccitazione.
Vieni, le dice, in piedi.
Lei sa cosa la aspetta. Ormai conosce la sua padrona.
E’ come una regola non scritta: se la Padrona gode deve godere anche la schiava
Il piacere di aver potuto condividere quell’intimità con lei deve essere pagato a caro prezzo da
Francesca. Sempre. Perché sei una schiava Francesca, ed è giusto così, le aveva detto la
Padrona la prima volta. E’ successo che la Padrona la graziasse e le concedesse di tenere il suo
piacere, ma non quel giorno apparentemente.
La fa stare in piedi ai piedi del letto e le lega i polsi in altro sopra la testa e poi le caviglie ai due
piedi del letto.
Le gambe forzatamente divaricate, in una posizione esposta che la rende vulnerabile. Era
incredibile come il fatto stesso di aprire forzatamente le gambe appena più del normale, inducesse
nel cervello di Francesca una inebriante sensazione di abbandono, di eccitazione, di perdita del
controllo, di vulnerabilità, di schiavitù. Un solo gesto, una posizione forzata, così tante sensazioni.
La Padrona la guarda, si gode la scena.
Anche Francesca si guarda, tutti quegli specchi, non può non farlo.
La Padrona lo nota. Si guardati Francesca, goditi la scena, guarda come viene una schiava.
Le solleva leggermente il vestitino, a scoprirle il sesso avvolto dall’intimo e dei collant.
Eccitante vedersi così.
Eccitante vederla così
Frustino, colpi leggeri sul pube, sull’interno coscia.
Si guardano. Mentre la Padrona continua nel suo proposito.
La punta del frustino che le accarezza le gambe ed il ventre.
Francesca non sa più cosa vuole.
Ti prego no Padrona, non farlo, non oggi.… una supplica
Ride
Oh si che lo faccio….. ancora quello sguardo
lo so che non vuoi .. ma lo voglio io… oggi più che mai
La guarda dritto negli occhi.. Si avvicina, Voglio sentirti gemere Francesca, gemere come una
troia, e poi voglio guardarti mentre godi come una schiava. Come la MIA schiava.
Colpi più forti, aumenta la frequenza e anche l’intensità.
Francesca non può trattenere i suoi gemiti
Cambia frustino, ora usa uno strumento più morbido… ma i colpi aumentano sempre di più.
Sempre di più.
La Padrona le è davanti, vicinissima.
Quella donna che la fa impazzire è lì, davanti a lei, e lei non la può neanche sfiorare…
Il suo ventre la cerca. Il suo pube bagnato. La Padrona si concede, si avvicina.
Le prende i fianchi con le mani, preme la sua coscia contro il suo sesso.
Gemiti, il respiro che aumenta, è così eccitata, ancora gemiti, sempre più forti,
Viene. Nelle mani della sua Padrona, guardandosi allo specchio, vittima della sua vanità.
Schiava.
La Padrona sorride, la guarda.
Sottovoce all’orecchio
Cosa sei Francesca?
Lei lo sa, ora è difficile, ma è ora conta più che mai.
E lo fa ogni volta, vuole sentirselo dire, anzi, vuole che lei si senta mentre lo dice.
Sono la tua schiava Padrona. Sottovoce.
Brava. Una carezza sui capelli.
Le slega delicatamente polsi e caviglie e si siede su una sedia.
Direi che si, adesso ho finito con te.
Forza, va’ in bagno, hai bisogno di una bella sistematina come si deve.
Sia chiaro, ti voglio perfetta Francesca, d’accordo.
Annuisce
Le parole fanno fatica ad essere pronunciate ora.
No, non è semplice, ma questa volta Francesca non ha davvero scelta.
Si odia ora per quel desiderio espresso alla Padrona qualche mese prima di vivere quel
pomeriggio in Motel. Ma ora è qui.
Si sistema il trucco, si toglie le unghie finte dal momento che comunque alcune erano saltate nel
gioco e non aveva molto senso conservarne solo alcune.
Si pettina e si sistema gli abiti.
Prende il profumo dalla sua borsetta, ce lo aveva messo apposta pensando a quel momento, nel
caso fosse venuto. Un attimo di sospensione, non sa cosa fare.
E che cavolo, andiamo fino in fondo. Chiude gli occhi, e prima di pentirsene arrivano due spruzzate
sul collo.
E’ pronta, esce dal bagno. La Padrona ha aperto la porta che da’ sul cortile e sta fumando una
sigaretta. La raggiunge.
C’è una sedia anche per lei. Siediti Francesca.
Cerca di mantenere il suo ruolo, quella femminilità che poc’anzi era così parte di lei ed ora
percepiva così distante.
Accavalla le gambe, la schiena dritta. Lo fa da sola, se lo impone.
La Padrona osserva tutto, in silenzio. Sente il profumo appena spruzzato. Momenti di schiavitù
silenziosa. Lei lo sa, molto più difficili e umilianti e significativi dei fuochi d’artificio vissuti nelle due
ore precedenti.
La sigaretta è finita. Silenzio condiviso.
E’ ora che risistemi la stanza Francesca. Io vado a farmi una doccia e a cambiarmi, tu sistemi tutto,
ok? Lei annuisce
La Padrona sparisce in bagno, Francesca obbedisce.
Quando lo sguardo cade sugli specchi è come vedere un’altra persona, non sé stessa.
Però, non c’è dubbio, quell’immagine che vede specchiata, ancora le suscita sensazioni.
E’ figa, è sexy.
La voce della Padrona la chiama dal bagno, è uscita dalla doccia, avvolta in un lungo
asciugamano.
Francesca, hai messo in ordine?
Si
Uno sguardo, quello sguardo
Si Padrona
Ah ecco…ora va meglio. Senti, in camera tua hai altri vestiti vero?
Domanda inaspettata. Vorrebbe mentirle, dirle che no, che ha portato solo quel vestitino, ma sa
che non le crederebbe. Anche perché glielo aveva detto lei di portare diversi abiti
indipendentemente da quello che avrebbe indossato.
Forza, vai a prenderli, porta qui le cosine più carine che hai, mi è venuta un’idea visto che ho
ancora un po’ di tempo.
Francesca obbedisce, indossa il cappottino e si avvia verso la sua stanza.
Lunghi corridoi, troppo lunghi ora. Si sente così esposta, così nuda, così a disagio nello stesso
luogo dove due ore prima camminava sicura si sé. Spera di non incontrare nessuno e così è, per
fortuna.
Arriva in stanza, prende ciò che deve e torna da dove è venuta.
Quando bussa nuovamente alla porta la Padrona le apre vestita da strada.
Il clima è cambiato, la luce più forte.
Difficile, ma forse anche più facile.
Sai cosa facciamo Francesca, un bel po’ di foto per il tuo portfolio!!
Lo immaginavo. Il tono non è certamente entusiasta.
Un grande sorriso. Non sei contenta?
Volevi sempre le foto.. ora le facciamo dai!
Non mi dilungherò qui nel descrivere i cambi di abito, i capelli che scivolano da un lato all’altro su
invito della Padrona, le posizioni diverse nei diversi angoli della stanza, che non è questa la sede
per un simile racconto. Ma il tempo passa e Francesca lentamente, molto lentamente fa di nuovo
amicizia con quella dimensione, sente che la abita in modo più sereno. Più disinvolto.
Anche la Padrona se ne accorge.
Ti va bene che devo andare ora Francesca, che altrimenti ricominciavo a scoparti.
Quello no, quello Francesca non lo reggerebbe, ne è abbastanza certa, anche se a dire il vero non
aveva neanche mai retto un’ora vestita di tutto punto, truccata e profumata, dopo aver goduto.
E’ ora di salutarsi.
Prendono le loro cose, indossano i cappotti.
La Padrona accompagna Francesca alla porta.
Un abbraccio. Non c’è bisogno di dire molto dopo un pomeriggio così.
Tornata nella stanza Francesca si allunga sul letto.
Strano all’improvviso essere lì da sola.
E’ tempo di rimettere insieme i pezzi, tutti i pezzi di un pomeriggio infinito. Infinito per le emozioni
vissute e le sensazioni. Un pomeriggio da escort prima, un pomeriggio da schiava poi.
Si spoglia. Si strucca con attenzione e si butta sotto la doccia. Una lunga doccia ristoratrice.
Quando si asciuga non può non soffermarsi sulle sue gambe lisce e depilate.
E’ quasi un automatismo, prende un brasiliano invece del suo intimo “da strada” e un altro paio di
collant. Si, oggi deve andare così.
Fa una foto alle sue gambe allo specchio e la manda alla sua Padrona
Oggi vado a casa così, tua, sempre. ♥
Grazie Padrona. Grazie di questo regalo.


LA PRIMA VOLTA

Quello sarebbe stato il primo incontro dopo la firma del contratto.
Non che necessariamente le cose dovessero andare diversamente da come erano sempre andate,
però, a dirla per come Francesca la sentiva, quel contratto cambiava proprio tutto.
Le aveva modificato l’assetto mentale e questo per lei significava cambiare tutto.
Aveva dato la sua disponibilità a servire la Padrona come lei avesse desiderato e aveva dato
disponibilità a servire chiunque lei avesse desiderato. Era come se avesse abdicato alla possibilità
di avere voce in capitolo su quanto sarebbe successo nei loro incontri.
La perdita del controllo, anzi no, la rinuncia al controllo.
E rendeva tutto diverso. Meravigliosamente diverso, almeno da un lato.
E la verità era stata che non era riuscita a stare concentrata su nulla per più di dieci minuti per tutta
la settimana tanto non vedeva l’ora che quel giorno arrivasse.
La Padrona l’aveva convocata per quel sabato:
Ciao Francesca, ti voglio da me sabato mattina. Alle 10.
Non aveva chiesto nulla.
Nessun anticipo su cosa l’avrebbe aspettata. Su chi l’avrebbe aspettata.
Nulla.
Solo il battito del suo cuore e l’incessante turbinio dei pensieri.
Fino ad ora, le aveva detto la Padrona il giorno della firma del contratto guardandola negli occhi,
quello che è successo nei nostri incontri alla fin fine è sempre stato quello che ti piaceva. Ma ora
non sarà sempre così, ti è chiaro questo, vero? Arriverà il momento in cui ti porterò in una
situazione che non è nelle tue corde, e quello sarà il momento in cui mi dimostrerai di essere
davvero una schiava, la mia schiava.
E si, le era chiaro, anche se non sapeva come altrimenti gestire quel pensiero.
Ma poi finalmente sabato era arrivato ed aveva varcato quella soglia.
La Padrona l’aspettava. Serena e tranquilla nei suoi abiti da strada.
Si erano salutate. Un abbraccio
Allora, come stai Francesca oggi?
Uno sguardo. Devo proprio dirtelo Padrona?
Nervosa?
Aveva annuito.. si Padrona, sto benissimo, ma nervosa..
Una carezza… La mia Francesca.. Sarà bellissimo vedrai..
Dai, adesso preparati. Ti ho lasciato sulla sedia quello che voglio che indossi. Quando sei pronta
vieni di là. Intanto mi preparo anche io.
E così la Padrona aveva recuperato due cosine per sé e le aveva lasciato la stanza.
Ah, dimenticavo, Francesca…
Si ..
Oggi è un giorno speciale, ti voglio uno schianto. Chiaro?
Non ti deluderò.. Padrona
E l’aveva lasciata. Da sola con i suoi pensieri e le mille cose da fare.
E si era truccata, e poi vestita e poi ingioiellata e poi profumata. Tanto.
E si era guardata allo specchio e si era piaciuta.
E poi quel profumo… quanto la faceva sentire figa, sexy, troia, schiava.
La faceva sentire tutto.
La faceva sentire tutta.
Ed aveva bussato a quella porta.
E una voce maschile le aveva risposto
Entra Francesca.
E lei era entrata, aveva guardato chi la aspettava e sulla destra aveva visto un uomo. Il suo
abbigliamento le diceva che aveva di fronte un Padrone.
E sulla sinistra lei, la sua Padrona.
Le si sarebbe gettata ai piedi.
Ed invece, aveva lentamente slacciato la cintura di seta che le chiudeva il kimono nero e se l’era
sfilato lentamente lasciandolo cadere ai suoi piedi. Ed ora era lì, di fronte a loro. A loro
disposizione.
Avvolta da quel body in pvc sgambatissimo che le piaceva un casino, dal sottilissimo paio di collant
color nudo e dai suoi stivali da schiava.
Eccomi Padroni.
La guardavano entrambi.
Un piccolo quasi impercettibile mormorio di approvazione.
Vieni qui, la voce di lei.
Le si avvicinò e uno sguardo le disse di inginocchiarsi.
Cosa sei Francesca?
Sono la tua schiava, Padrona. Tua e di chiunque tu vorrai.
Brava. E’ la risposta che volevo sentire da te oggi.. Allora va’ da lui. E fa ciò che ti dice.
Uno sguardo, un sorriso. Anzi no, Quello sguardo e Quel sorriso.
Si alzò e camminò verso quell’uomo cercando di silenziare le voci che le urlavano dentro ed il
cuore che batteva a mille e tentando piuttosto di concentrarsi sulla sua camminata per renderla il
più femminile e sexy possibile.
Era di fronte a lui.
La guardava
Girati
Ubbidì.
Lo sentì alzarsi. Era dietro di lei. Sentì le sue mani sul suo corpo. Sui suoi fianchi, sui suoi glutei,
sul petto. Le venne spontaneo assecondare i movimenti di lui e si scoprì ancheggiare lievemente,
le gambe appena leggermente divaricate. Per lasciare spazio alle mani di lui le venne spontaneo
portare le proprie sopra il proprio capo.
Solo in quel momento notò la Padrona, ancora seduta dove l’aveva lasciata poco prima che li
guardava.
Le mani di lui la spinsero in avanti. Contro il muro Francesca, vai.
Si trovò legata alla croce.
I colpi del frustino non tardarono a farsi sentire. Era la prima volta che un uomo la frustava.
L’immagine che lo specchio le restituiva e che lei faceva fatica a guardare nonostante la sua vanità
fu fortissima ed era l’emblema del suo stato. SCHIAVA.
Sentì la Padrona che si avvicinava. Sentì le sue mani che le stringevano una cintura in vita. Stretta
come non mai. E poi il bavaglio.
Ora erano entrambi dietro di lei, ognuno da un lato ed i colpi si alternavano.
Alcuni forti, fortissimi, altri più delicati, lei non riusciva a coglierne un ritmo, a prevedere ciò che
sarebbe arrivato. Il dolore era intenso, urla strozzate uscivano dalla sua bocca, ma i padroni non
sembravano dar loro ascolto.
Proprio quando il pensiero che non avrebbe retto oltre le aveva attraversato la mente – forse
aveva urlato davvero questa volta – i due si erano fermati.
Ora la Padrona era davanti a lei, vicinissima. Essendo legata lei non poteva spostarsi dal muro e lo
spazio fra lei ed il muro era appena sufficiente per un persona. Ma quel contatto, ed il calore di
quel corpo la rinfrancarono, ci si abbandonò.
Fu un abbandono breve, sentì le mani della Padrona accarezzarle il viso e poi scendere lungo il
corpo.
Non crederai mica che abbiamo finito con te vero?
Domanda retorica…
Le sue mani cercarono le cerniere sul body all’altezza del suo petto, le scoprirono i capezzoli ed
iniziarono avidamente a cercarli.
E più la tortura inflitta dalle sue unghie entrava nella carne di Francesca ed il corpo della schiava
ne rendeva esplicita la reazione, più gli occhi della Padrona brillavano di piacere.
Mentre il Padrone dietro di lei aveva ricominciato a colpirla.
Urla strozzate.
Occhi imploranti,
Eccitazione pericolosa.
Ora per fortuna avevano finito, almeno sembrava.
Si muovevano dietro di lei
Lei, stravolta, quasi non osava guardare. Qualche minuto di pausa.
Il culo in fiamme, i capezzoli devastati, ancora legata.
Questa volta fu Padrone ad infilarsi fra lei ed il muro, mentre la Padrona le slacciava finalmente i
polsi. La presenza di quell’uomo davanti a sé, così vicino, era destabilizzante, non sapeva dove
tenere le mani. Ma poi sentì la voce della Padrona mentre le slacciava il bavaglio.
Inginocchiati Francesca e fa’ il tuo dovere.
Ubbidì
Le mani del Padrone slacciarono la cintura dei pantaloni in pelle, lei fece il resto, finchè non teneva
in mano il cazzo del suo Padrone e ne leccava l’erezione crescente tenendolo con attenzione fra le
sue dita.
Le unghie lunghe, il suo profumo, i suoi capelli lunghi che sentiva sulle spalle e quel cazzo sempre
più duro nella sua bocca la mandarono in estasi. Succhiava sempre più avidamente mentre i
movimenti del bacino del Padrone glielo mandavano sempre più dentro, sempre più in gola.
Brava, così Francesca, dimostraci che sei davvero troia, non solo a parole
Sentiva una lieve soddisfazione nella voce della Padrona e questo la motivò a far ancora meglio..
I due sembravano divertiti e divertirsi.
In breve la situazione si modificò, il Padrone si era seduto sul tavolo mentre Francesca, in piedi
davanti a lui e piegata a novanta continuava a spompinarlo. La mano di lui le teneva salda la testa
e la obbligava a prenderlo tutto, come se se la stesse scopando nella bocca, nel mentre la
Padrona dietro di lei iniziava ad aprirle il culo. Prima un vibratore poi direttamente il suo strap on.
Quando ormai l’iniziale dolore non si percepiva più e Francesca si sentiva bagnata come non mai,
la Padrona smise di incularla ed il Padrone di scoparsela in bocca.
Vieni qui Francesca, inginocchiati, qui accanto a me, e mentre le parlava se l’era portata accanto
alla sedia ginecologica dove si era comodamente seduta aprendo le gambe.
Francesca era in balìa di infinite emozioni e ci mise un secondo in più per cogliere quello che stava
accadendo. Il Padrone aveva abbassato i collant della Padrona e aveva cominciato a penetrarla,
mentre lei, Schiava, assisteva alla scena da pochi centimetri di distanza, inginocchiata ai piedi
della sedia, il suo viso quasi accanto alle gambe della Padrona.
E poi fu un attimo
Sentiva i gemiti della Padrona ed il Padrone ansimare di piacere e poi, fra un respiro e l’altro ne
sentì la voce
Fermati, farglielo leccare. Voglio guardarla mentre ti succhia il cazzo bagnato di me
Ed il cazzo di lui in un attimo le era in bocca e lei succhiava avidamente e sentiva il sapore della
sua Padrona, quasi in trance. Non riusciva a distinguere se gemeva più lei nel succhiare o la
Padrona nel prenderlo nel suo corpo, ma Francesca non riusciva ad immaginare qualcosa di più
umiliante ed eccitante allo stesso tempo.
E così continuarono un altro paio di volte, lui alternando fra il sesso di una e la bocca dell’altra, lei
godendosi lo spettacolo della sua Schiava ai suoi piedi che ormai le era così vicina da quasi
permettere al Padrone di non spostarsi nemmeno
Finchè una nuova perversa e meravigliosa idea non ebbe il sopravvento nelle loro menti.
Leccami Francesca, voglio sentire la tua lingua mentre lui ti scopa.
Francesca rimase in ginocchio e si mise di fronte alla sua Padrona accentuando il più possibile la
sua lordosi per favorire il Padrone inginocchiato dietro di sé.
Avrebbe desiderato poter svolgere quel compito con calma, ma in fondo non era che una schiava
e questa era la sua chance; certamente non voleva lasciarsela scappare. Appoggiò delicatamente
le mani accanto al sesso della Padrona ed iniziò a leccarne un sesso ormai fradicio ed eccitato.
Guardava la Padrona mentre la sua lingua accoglieva tutti i suoi umori e la Padrona se la divorava
con gli occhi…Francesca era così concentrata che quasi si era dimenticata di quello che stava per
accadere.
Fu la pressione del cazzo del Padrone contro il suo culo e ricordarglielo e la presa forte delle sue
mani sui suoi fianchi.
E gli occhi della Padrona, luccicanti, eccitati, felici, accompagnarono la smorfia di dolore, sorpresa,
smarrimento sul volto di Francesca.
Continua troia, non fermarti.
Lui la sbatteva, sempre più forte e lei leccava e leccava fissando il volto della sua Padrona; aveva
quasi paura di lasciarlo, come se potesse perdersi senza quello sguardo che le restituiva chi era.
La rimetteva al suo posto ed al contempo la faceva sentire a casa.
E poi i colpi aumentarono di intensità, sentì che il Padrone era vicino all’orgasmo, lei aumentò la
pressione e la velocità della sua lingua. Sempre di più. Sempre di più.
Era un crescendo di gemiti, vibrazioni, respiri, sguardi.
Quando il Padrone esplose dentro di lei questo eccitò la Padrona ancora di più e qualche istante
dopo anche lei esplose in un piacere intenso e liberatorio.
Allontanati ora. Lasciaci
Ubbidì
Il Padrone si era ritratto e si era avvicinato alla Padrona.
Francesca a forse un metro di distanza, sempre in ginocchio, cercava di ricomporre i pezzi del suo
corpo e della sua anima dopo quanto era successo. E cercò quanto meno di ricomporsi
nell’abbigliamento, per quel poco che indossava, nonostante i collant fossero ormai strappati.
I Padroni rimasero insieme qualche minuto, come se lei non ci fosse.
Mentre lei, in ginocchio in un angolo, si sentiva l’entità più simile ad un oggetto usato che la sua
fantasia potesse immaginare. Eppure si sentiva in un luogo sicuro, sola, usata, abusata, ma
esattamente nell’unico luogo dove avrebbe voluto essere.
I Padroni eventualmente si separarono e lui andò in bagno.
Lei si alzò e si sistemò.
Finalmente, forse erano già passati quasi dieci minuti, riconobbe la presenza di Francesca.
Le si avvicinò. Aveva un viso rilassato, felice.
Alzati Francesca
Le chiese con delicatezza e sincero interesse come si sentisse.
Francesca sorrise
Avrebbe avuto voglia di risponderle “a casa” ma non le parve il caso.
Bene Padrona, fu quello che le uscì invece.
Sono contenta. Sentì la sua mano accarezzarle il corpo e si sciolse.
Vai di là Francesca, spero tu abbia portato qualche cambio.
Si Padrona, certo.
Brava, allora và di là, sistemati un po’ e indossa uno di quei brasiliani che adoro, un paio di
autoreggenti, le scarpe coi lucchetti ed il tuo kimono nero. Nient’altro. Poi torna qui.
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Quando tornò nella stanza non le ci volle molto per capire cosa l’avrebbe aspettata.
La stanza era piena di candele accese.
Quando si fu tolta il kimono fu fatta stendere in terra sopra al telo nero e legata polsi e caviglie ai
quattro angoli. Il Padrone aveva legato le caviglie l’una alla sedia ginecologica e l’altra al tavolo
delle torture e così facendo lei si era trovata con le gambe estremamente divaricate.
Legata non è forse corretto. Immobilizzata rende meglio l’idea.
E la situazione era resa ancora più difficile dal fatto di trovarsi seminuda di fronte al Padrone.
I Padroni rimasero una da una parte ed uno dall’altra e così facendo la cera cadeva sul suo corpo
a volte simultaneamente ed a volte alternata, in punti diversi del suo corpo..
Il petto, le ascelle, il ventre.
Sensazioni diverse, dolore, piacere. Si stupiva sempre di quanto un centimetro della sua pelle più
su o più giù potesse fare una così grande differenza..
Ma poi la Padrona scese e Francesca iniziò a temere che davvero arrivasse là dove la sua
fantasia aveva sempre desiderato che qualcuno la ricoprisse di cera.. ed ora, con le gambe
immobilizzate e l’inguine così esposto…
Iniziarono con le cosce, e poi l’interno coscia, appena sopra la balza delle autoreggenti, e poi
salirono verso il suo sesso. Il brasiliano era davvero non troppo largo, la Padrona a tratti lo
spostava mentre il Padrone le bloccava con la mano la coscia per non consentirle di muoversi.
Francesca sentiva colate di cera rossa che scendevano lungo i lati del suo inguine e si facevano
strada verso il suo culo.. non aveva più parole, né gemiti, né urla in corpo.
Li osservava, i suoi Padroni, sorridenti e complici nel torturarla così come lo erano stati
nell’abusare di lei prima.. e si offriva a loro, prostrata, devota, che prendessero ciò che volevano,
che prendessero ciò che era loro. Sperava solo di riuscire a trattenersi e non godere..
Rimaneva poca pelle non coperta dalla cera quando decisero di liberarla.
Quando ebbe mani e piedi liberi istintivamente Francesca iniziò a togliersi la cera dal corpo.
Aspetta Francesca, nessuno ti ha detto di muoverti. Rrimani lì, in ginocchio.
Ubbidì e rimase girata com’era, verso la finestra dando le spalle alla porta.
Li sentì dietro di lei, non capiva cosa stesse succedendo, ma poi un lieve rumore inconfondibile
non le lasciò molti dubbi. Un recipiente si stava riempiendo, una ciotola forse.
Fu il Padrone a portare la ciotola quasi piena di fronte a Francesca e appoggiarla a terra, mentre la
Padrona si sedeva sulla sua sedia e si accendeva una sigaretta.
Il Padrone era ora dietro alla Padrona, le mani delicatamente appoggiate alle sue spalle.
Bevi Francesca, questo è di fatto il primo compito di una schiava che si rispetti.
Se la bevi tutta ti pulirò dalla cera, altrimenti ti faccio andare a casa così.
Non c’era molto da fare.
Non era la prima volta per Francesca, ma era la prima volta con la sua Padrona. Ed era la prima
volta di fronte ad una terza persona.
Ed era la prima volta che doveva per forza berla tutta.
A quattro zampe si scostò i capelli dal volto e si avvicinò alla ciotola che conteneva la sua
umiliazione. Sentiva gli occhi dei Padroni su di sé e si chiedeva se fossero stupiti o piuttosto curiosi
od orgogliosi o semplicemente divertiti e soddisfatti mentre sorseggiava quel liquido ancora caldo
cercando di non soffermarsi sul suo gusto e deglutendone quanto più possibile.
Fece il possibile per non incrociare i loro occhi fino a che la ciotola non fu vuota.
Perché si, la bevve tutta.
E finalmente guardò nella loro direzione.
Il Padrone sorrideva, la Padrona aveva gli occhi che le brillavano.
Sei così meravigliosamente schiava Francesca…
Vieni qui, mi hai fatto venire voglia di scoparti.
E così la fece sedere sulla sedia ginecologica e mentre preparava lo strap on chiese al Padrone di
legarle le mani al muro dietro di sé.
Scostò lievemente il brasiliano e se la scopò come solo lei sapeva fare.
La prese prima lentamente, poi con violenza, e poi ancora lentamente quasi negandole quel cazzo
che di nuovo ormai Francesca desiderava come non mai.
E lei si concesse alla sua Padrona interamente e si fece scopare tutta,
culo, corpo e anima.
Sotto gli occhi del Padrone che abbracciava la Padrona da dietro e si godeva pienamente la scena
guardando negli occhi Francesca.
Seminuda, ancora coperta di cera che lentamente si staccava dal corpo lasciando la pelle così
sensibile.
Così schiava e così troia
E la Padrona che sapientemente la portava là dove voleva, per farla godere e per umiliarla ancora
una volta, perché portarla all’orgasmo davanti al Padrone quello sarebbe stato, l’ultima e la più
grande umiliazione della giornata.
E così fu.
Francesca esplose di un piacere intenso.
Venne come la troia che era,
mentre veniva inculata dalla sua Padrona,
davanti al suo Padrone.
E lì era, nel parcheggio del motel, a fianco della sua auto, e la aspettava.
Fatti trovare alle 15 nel parcheggio, le aveva detto, io arriverò, ti caricherò e poi entriamo insieme.
Ma non poteva rischiare di arrivare tardi e dunque era arrivata quasi dieci minuti prima.
Come se fosse stata lì a battere aspettando un cliente insomma. O una cliente se è per quello.
O la sua Padrona, semplicemente.
La verità è che c’era anche il rischio che un cliente si fermasse per davvero in un luogo così, che
d’accordo, non era sulla strada, però il suo abbigliamento non lasciava molti dubbi al perché del
suo essere lì.
Un paio di stivali meravigliosi, un micro vestitino nero comprato su indicazione della sua Padrona,
un cappottino non troppo lungo che copriva il fondo cortissimo del vestitino ma si fermava in tempo
per mostrare le sue gambe avvolte da un velato collant color nudo. Truccata in modo elegante ma
deciso, profumata, i capelli ricci e lunghi sciolti. Una sciarpina leggera intorno al collo, un paio di
occhiali scuri, una borsa sulla spalla.
Un po’ camminava avanti e indietro, un po’ aspettava appoggiata all’auto.
Lei non sapeva che auto guidasse la Padrona, glielo aveva chiesto a dire il vero, ma ridendo Lei le
aveva risposto che certamente non glielo avrebbe detto. E così ad ogni auto che arrivava, e già ne
erano arrivate due, non sapeva se avvicinarsi o piuttosto nascondersi. Una addirittura aveva
parcheggiato nel parcheggio esterno, non distante dalla sua auto e ne era uscita una coppia che
non aveva mancato di lanciarle diverse occhiate curiose. L’altra, invece, era passata oltre senza
fermarsi e lei aveva tirato un sospiro di sollievo.
Le 15.10, la Padrona si faceva aspettare, le faceva godere la sua condizione di troia che batte.
Era inquieta, non lo poteva negare. Ed eccitatissima.
Aveva sognato quel preciso momento da un tempo che a tratti le era sembrato infinito, poi un
giorno aveva conosciuto Lei, ed era stato intenso, da subito. E aveva sentito che con Lei forse ci
sarebbe stato spazio anche per questo.
Un giorno, dopo forse due mesi che si erano conosciute le aveva scritto una mail, era una storia e
non era la prima volta che gliele scriveva. Ma quella volta inviandogliela le aveva scritto
un’annotazione.
Questa non è solo una storia mia Padrona, questo è un regalo che ti vorrei implorare di farmi
vivere.
E la Padrona l’aveva letta e le era piaciuta un sacco e qualche giorno dopo le aveva detto che si,
quel regalo glielo avrebbe fatto.
E lei non aveva creduto ai suoi occhi. Ed ora c’erano “solo” una folla di sensazioni, emozioni ed
aspettative. E paure, si, anche paure. Ma si sarebbero sciolte non appena fosse arrivata Lei.
Se fosse arrivata. Che a questo punto Francesca cominciava ad avere qualche timore.
Un’auto.
Rallenta.
In quel momento Francesca è un po’ distante e così cammina per avvicinarsi.
Passi ampi, sicuri. Padronanza del ruolo, e del marciapiede.
Anche l’auto le va incontro lentamente.
Ormai è quasi all’altezza del finestrino del passeggero. All’interno la riconosce, per fortuna è lei.
Abbassa il finestrino, le viene spontaneo appoggiarsi mentre le parla.
A guardare la scena non si avrebbe avuto alcun dubbio su ciò che stava accadendo.
Ciao mia Padrona, ben arrivata
Ciao Francesca. Un sorriso, quello sguardo. Devo dirtelo io che sei uno schianto o te l’ha già detto
qualcun altro mentre mi aspettavi? E a seguire un altro sguardo che diceva tutto.
Allora, dimmi il numero della stanza, quando sono pronta ti mando un messaggio e tu mi raggiungi.
Va bene Padrona, ti aspetto qui allora.
Mentre Lei entra con l’auto nel Motel Francesca si accomoda nella sua auto.
Riflette, wow, il pomeriggio non è ancora iniziato èd è già quasi l’esperienza più intensa che lei
abbia mai avuto..
Andiamo con ordine:
Era arrivata in Motel poco prima delle 14, che non poteva certo rischiare di fare tardi. Aveva
lasciato l’auto fuori ed era entrata a piedi prendendo una stanza per sé.
Si era spogliata e velocemente sciacquata. La sua pelle era così sensibile, in mattinata si era
depilata tutta, gambe, petto, ascelle, inguine. Ed ora era tutto così meravigliosamente liscio e
sensibile.
Si era incremata le gambe con una crema per il corpo profumata. Poi aveva indossato l’intimo e
sopra un paio di collant meravigliosamente velati che ora le stavano da dio.
E poi con cura si era truccata, pettinata e ingioiellata.
E poi vestita.
E poi profumata.
E le era piaciuto un sacco farlo.
Aveva infilato il suo bavaglio, i trucchi e il cambio dell’intimo nella sua borsetta, che magari le
sarebbero serviti per aggiustarsi durante o alla fine dell’incontro, e poi aveva rassettato un poco la
stanza.
E poi si era allacciata il collare.
Quello che sanciva la sua appartenenza. Lo aveva scelto lei, e quando lo aveva visto non aveva
avuto dubbi, quello era il Suo collare: piuttosto alto, tre strisce di cuoio parallele con tre fibbie
diverse, da stringere individualmente, collegate da quattro strisce verticali che lo rendevano
leggero ma al contempo alto, importante.
Tre fibbie, aveva pensato nel vederlo, una con cui le consegnava il suo corpo, e che allacciata la
rendeva schiava.
La seconda con cui le consegnava il suo culo, e che allacciata la rendeva troia.
La terza con cui le consegnava la sua anima, e che allacciata la rendeva Sua.
Tre legami in uno che una volta stretti intorno al suo collo sancivano disponibilità e appartenenza.
Poi aveva coperto il collare con una leggera sciarpina che ne lasciava appena intravedere un
angolo e indossato il cappottino e gli occhiali da sole.
Ed era uscita dalla porta della stanza a piedi, aveva camminato per i corridoi e si era ritrovata nella
hall. Una donna delle pulizie l’aveva incrociata nel corridoio e l’aveva salutata. Lei aveva
ricambiato il saluto.
Ed era uscita nel parcheggio per fare ciò che era venuta a fare.
Un messaggio.
Vieni Francesca, la tua Padrona ti aspetta. E il numero della stanza.
Un brivido.
Sono da poco passate le 15.30. Scende dall’auto, si sistema appena un po’, come farebbe
qualsiasi donna prima di un incontro importante. Usa il vetro dell’auto come specchio.
Entra in Motel.
Non c’è la ragazza alla reception che l’aveva vista uscire. Ora c’è un uomo. Un secondo di
silenzioso panico, lui la guarda con aria interrogativa.
Ho già fatto il check in, sono nella stanza X. Mi dici dove trovo la stanza Y per favore?
Prendi quel corridoio, al fondo a sinistra. Risponde lui. E le sorride.
Grazie.
E si incammina. Senza troppo soffermarsi sullo scambio che è appena avventuto.
Lei donna che parlava con un uomo. Lei donna vestita in quel modo che parlava con un uomo;
chissà cos’ha pensato.
Passi lunghi, sicuri. Si gode quel momento, lo vive. L’ha immaginato mille volte.
Un respiro lungo, vorrebbe avere uno specchio, non per controllare di essere a posto, solo per
godersi la vista.
Bussa.
Sono io Padrona.
Entra. Luci soffuse.
Si sfila il cappottino e lo appoggia su una sedia.
La Padrona si è seduta su una delle sedie, lei è rimasta in centro alla stanza.
E la Padrona se la divora con gli occhi.
Per un attimo ha la netta sensazione di percepirne il respiro accelerare.
Per un attimo si sente preda che sta per essere predata.
E’ erotico.
E’ intenso.
E’ sensuale.
E’ profondo.
E’ sessuale.
Indossa un abito lucido, forse in pvc, con diversi spacchi, stivali e i collant chiari che un giorno
aveva chiesto a Francesca di comprarle. La parrucca bianca.
Lei si accarezza il corpo. Si gode il tatto del suo miniabito. Sensuale e aggraziata allo stesso
tempo, La seduce con quel suo sguardo da gatta ora avida di attenzioni. Si sente il suo profumo
addosso. E’ inebriante. Eccitante.
Si sente così femmina. Si sente così troia
Emozioni, sensazioni, ma non una parola.
E’ lei che non regge più.
Si avvicina al tavolino e prende il suo bavaglio. Si inginocchia di fronte a lei e glielo porge a mani
giunte. La bocca semiaperta che è una supplica.
Per un attimo indugia con le sua mani sulle gambe della sua Padrona avvolte dai collant.
Silenzio colmo di parole sussurrate senza voce alcuna
E la Padrona finalmente prende l’oggetto nelle sue mani e asseconda la silenziosa supplica della
sua schiava.
Ora la accarezza, le sistema i capelli. La osserva. La annusa.
Si avvicina.
All’orecchio, sottovoce. Sei bellissima Francesca.
Un gemito. Si scioglie.
Cerca i suoi capezzoli.
Francesca glieli offre con gli occhi, col corpo, con tutto.
La stanza è una stanza di medie dimensioni. Specchi ovunque (perché sei così vanitosa avrebbe
detto la Padrona) Francesca l’ha scelta perché ha un letto a baldacchino che consente di legare
sia agli angoli del letto che alle traverse superiori.
Ed ora è in piedi, i polsi legati ad uno degli angoli del letto. Finalmente.
Un plug infilato nel culo.
Non vede l’ora.
I colpi arrivano. Forti.
Il suo corpo che si muove, quasi come se danzasse sulle note dello scoccare del frustino
Quasi come una ballerina nelle mani della sua coreografa.
E la coreografa alterna carezze e colpi. Ad un tratto le sta dietro, sente il suo bacino dietro di lei e
istintivamente inarca la schiena come a invitarla dentro al suo corpo. E invece Lei si gode quella
posizione per assestare i colpi più intensi.
Cinquanta, sessanta, forse settanta colpi. Natiche in fiamme, nessuno li conta.
Lei si contorce e geme.
La Padrona si eccita.
Ha steso la sua plastica nera sul letto, dando alla stanza un look molto diverso dall’originale.
L’ha fatta cambiare, le ha ordinato di sfilarsi i collant e indossare al loro posto un paio di
autoreggenti. E poi l’ha fatta stendere sul letto supina e l’ha legata ai quattro angoli.
Immobilizzata ed esposta.
Lo specchio appeso sopra il letto le restituisce la sua immagine e la sua condizione.
Francesca lo sa, sarà torturata con la cera.
Scruta i movimenti della Padrona con i suoi occhi eccitati e titubanti mentre la Padrona non vede
l’ora di guardarla contorcerla e gemere, di nuovo ballerina di cui manovra i fili con gocce di cera
bollente.
Una candela rossa pronta a sciogliersi e comporre disegni sulla sua pelle.
Colate sulle ascelle. Dolore, meraviglioso dolore. Sul petto. Introno ai capezzoli.
E poi la Padrona le solleva il vestito e scopre il sesso, avvolto solo dall’intimo.
No, non sull’inguine Padrona, ti prego.
E invece.
Le gambe che si contorcono e cercano disperatamente di chiudersi, di negare quei delicati
centimetri di pelle delicata alle torture della Padrona.
Che non ha pietà.
L’interno delle cosce, i bordi dell’intimo, il basso ventre sono la tavolozza del suo piacere.
Lo sguardo di Francesca che la cerca, impaurito ed eccitato mentre cerca un cenno di assenso nel
suo sguardo.
Sembra finalmente appagata. Ma Francesca sa che ora arriverà il vero dolore
La spazzolina di metallo con la quale la Padrona toglie la cera dai punti più delicati della mia pelle
E il collo si allunga verso di lei alla ricerca di un contatto
“Giù Francesca”
Una volta ripulita le slega le gambe.
E’ sopra di lei.
Le toglie il bavaglio, deve prendere in bocca quel fallo che presto entrerà nel suo corpo rendendo
vero quel legame stretto intorno al suo collo.
Ben presto è dentro di lei.
Se la prende, se la scopa. E’ sua.
Le slega le mani. Ora è inginocchiata, con il busto e il viso appoggiati al letto e il culo nelle mani
della sua Padrona che se la sbatte con violenza. La possiede.
Cinque, sei, dieci posizioni diverse. Sente il desiderio della Padrona di possederla e si abbandona
a lei come non avrebbe mai pensato possibile prima di conoscerla. Quella magia che si replica
ogni volta che le si concede, che si fa scopare, che si fa inculare.
Sente il suo fiato dietro di sé, sente crescere la sua eccitazione
E si scopre sempre più femmina, sempre più troia.
Le è sopra, le è sotto.
Le è dentro, le è ovunque. Le è nell’anima.
E’ un crescendo, e non finisce finchè Francesca seduta sopra di lei non la cavalca avidamente
assecondando i movimenti del corpo sotto di lei e godendosi i suoi capelli lunghi che le scendono
lungo la schiena
Sarebbero da filmare quanto sono eccitanti quelle due quando scopano.
Ferma, le intima, non ti muovere
E’ meraviglioso; Francesca sa cosa significa. Delicatamente ne intuisce i minuscoli movimenti e li
asseconda come una troia esperta.
Sguardi che si fissano, respiri trattenuti, piacere che esplode.
Intimità
Silenzio
Condivisione
Appartenenza
E poi, clic, uno sguardo asciutto, una voce secca.
Giù Francesca, lasciami, allontanati.
Come una troia, usata, servita allo scopo.
Meravigliosa sensazione.
La Padrona sembra appagata.
La lascia lì, sul letto.
Si siede su una delle sedie.
Dimmi cosa c’è nel minibar Francesca, ho bisogno di bere qualcosa.
Perché si, è una schiava, una schiava usata, una schiava da usare.
E deve servirla per prima cosa.
Francesca si alza e verifica. Le serve una bibita fresca.
Non ho ancora finito con te Francesca, vai a sistemarti un po’, guarda come sei conciata.
E rimettiti i collant che per un po’ il tuo culo non mi serve più. E gli stivali anche.
Obbedisce. E’ bello ubbidirle. Sistemarsi di nuovo per lei. Lo fa con cura, dedizione. In parte in
bagno in parte lì davanti a lei. Mentre sistema i collant la Padrona le chiede se ha un salvaslip.
Domanda retorica, è d’obbligo averlo quando incontra la Padrona.
Lo applica all’intimo e ci nasconde con cura la sua lieve eccitazione.
Vieni, le dice, in piedi.
Lei sa cosa la aspetta. Ormai conosce la sua padrona.
E’ come una regola non scritta: se la Padrona gode deve godere anche la schiava
Il piacere di aver potuto condividere quell’intimità con lei deve essere pagato a caro prezzo da
Francesca. Sempre. Perché sei una schiava Francesca, ed è giusto così, le aveva detto la
Padrona la prima volta. E’ successo che la Padrona la graziasse e le concedesse di tenere il suo
piacere, ma non quel giorno apparentemente.
La fa stare in piedi ai piedi del letto e le lega i polsi in altro sopra la testa e poi le caviglie ai due
piedi del letto.
Le gambe forzatamente divaricate, in una posizione esposta che la rende vulnerabile. Era
incredibile come il fatto stesso di aprire forzatamente le gambe appena più del normale, inducesse
nel cervello di Francesca una inebriante sensazione di abbandono, di eccitazione, di perdita del
controllo, di vulnerabilità, di schiavitù. Un solo gesto, una posizione forzata, così tante sensazioni.
La Padrona la guarda, si gode la scena.
Anche Francesca si guarda, tutti quegli specchi, non può non farlo.
La Padrona lo nota. Si guardati Francesca, goditi la scena, guarda come viene una schiava.
Le solleva leggermente il vestitino, a scoprirle il sesso avvolto dall’intimo e dei collant.
Eccitante vedersi così.
Eccitante vederla così
Frustino, colpi leggeri sul pube, sull’interno coscia.
Si guardano. Mentre la Padrona continua nel suo proposito.
La punta del frustino che le accarezza le gambe ed il ventre.
Francesca non sa più cosa vuole.
Ti prego no Padrona, non farlo, non oggi.… una supplica
Ride
Oh si che lo faccio….. ancora quello sguardo
lo so che non vuoi .. ma lo voglio io… oggi più che mai
La guarda dritto negli occhi.. Si avvicina, Voglio sentirti gemere Francesca, gemere come una
troia, e poi voglio guardarti mentre godi come una schiava. Come la MIA schiava.
Colpi più forti, aumenta la frequenza e anche l’intensità.
Francesca non può trattenere i suoi gemiti
Cambia frustino, ora usa uno strumento più morbido… ma i colpi aumentano sempre di più.
Sempre di più.
La Padrona le è davanti, vicinissima.
Quella donna che la fa impazzire è lì, davanti a lei, e lei non la può neanche sfiorare…
Il suo ventre la cerca. Il suo pube bagnato. La Padrona si concede, si avvicina.
Le prende i fianchi con le mani, preme la sua coscia contro il suo sesso.
Gemiti, il respiro che aumenta, è così eccitata, ancora gemiti, sempre più forti,
Viene. Nelle mani della sua Padrona, guardandosi allo specchio, vittima della sua vanità.
Schiava.
La Padrona sorride, la guarda.
Sottovoce all’orecchio
Cosa sei Francesca?
Lei lo sa, ora è difficile, ma è ora conta più che mai.
E lo fa ogni volta, vuole sentirselo dire, anzi, vuole che lei si senta mentre lo dice.
Sono la tua schiava Padrona. Sottovoce.
Brava. Una carezza sui capelli.
Le slega delicatamente polsi e caviglie e si siede su una sedia.
Direi che si, adesso ho finito con te.
Forza, va’ in bagno, hai bisogno di una bella sistematina come si deve.
Sia chiaro, ti voglio perfetta Francesca, d’accordo.
Annuisce
Le parole fanno fatica ad essere pronunciate ora.
No, non è semplice, ma questa volta Francesca non ha davvero scelta.
Si odia ora per quel desiderio espresso alla Padrona qualche mese prima di vivere quel
pomeriggio in Motel. Ma ora è qui.
Si sistema il trucco, si toglie le unghie finte dal momento che comunque alcune erano saltate nel
gioco e non aveva molto senso conservarne solo alcune.
Si pettina e si sistema gli abiti.
Prende il profumo dalla sua borsetta, ce lo aveva messo apposta pensando a quel momento, nel
caso fosse venuto. Un attimo di sospensione, non sa cosa fare.
E che cavolo, andiamo fino in fondo. Chiude gli occhi, e prima di pentirsene arrivano due spruzzate
sul collo.
E’ pronta, esce dal bagno. La Padrona ha aperto la porta che da’ sul cortile e sta fumando una
sigaretta. La raggiunge.
C’è una sedia anche per lei. Siediti Francesca.
Cerca di mantenere il suo ruolo, quella femminilità che poc’anzi era così parte di lei ed ora
percepiva così distante.
Accavalla le gambe, la schiena dritta. Lo fa da sola, se lo impone.
La Padrona osserva tutto, in silenzio. Sente il profumo appena spruzzato. Momenti di schiavitù
silenziosa. Lei lo sa, molto più difficili e umilianti e significativi dei fuochi d’artificio vissuti nelle due
ore precedenti.
La sigaretta è finita. Silenzio condiviso.
E’ ora che risistemi la stanza Francesca. Io vado a farmi una doccia e a cambiarmi, tu sistemi tutto,
ok? Lei annuisce
La Padrona sparisce in bagno, Francesca obbedisce.
Quando lo sguardo cade sugli specchi è come vedere un’altra persona, non sé stessa.
Però, non c’è dubbio, quell’immagine che vede specchiata, ancora le suscita sensazioni.
E’ figa, è sexy.
La voce della Padrona la chiama dal bagno, è uscita dalla doccia, avvolta in un lungo
asciugamano.
Francesca, hai messo in ordine?
Si
Uno sguardo, quello sguardo
Si Padrona
Ah ecco…ora va meglio. Senti, in camera tua hai altri vestiti vero?
Domanda inaspettata. Vorrebbe mentirle, dirle che no, che ha portato solo quel vestitino, ma sa
che non le crederebbe. Anche perché glielo aveva detto lei di portare diversi abiti
indipendentemente da quello che avrebbe indossato.
Forza, vai a prenderli, porta qui le cosine più carine che hai, mi è venuta un’idea visto che ho
ancora un po’ di tempo.
Francesca obbedisce, indossa il cappottino e si avvia verso la sua stanza.
Lunghi corridoi, troppo lunghi ora. Si sente così esposta, così nuda, così a disagio nello stesso
luogo dove due ore prima camminava sicura si sé. Spera di non incontrare nessuno e così è, per
fortuna.
Arriva in stanza, prende ciò che deve e torna da dove è venuta.
Quando bussa nuovamente alla porta la Padrona le apre vestita da strada.
Il clima è cambiato, la luce più forte.
Difficile, ma forse anche più facile.
Sai cosa facciamo Francesca, un bel po’ di foto per il tuo portfolio!!
Lo immaginavo. Il tono non è certamente entusiasta.
Un grande sorriso. Non sei contenta?
Volevi sempre le foto.. ora le facciamo dai!
Non mi dilungherò qui nel descrivere i cambi di abito, i capelli che scivolano da un lato all’altro su
invito della Padrona, le posizioni diverse nei diversi angoli della stanza, che non è questa la sede
per un simile racconto. Ma il tempo passa e Francesca lentamente, molto lentamente fa di nuovo
amicizia con quella dimensione, sente che la abita in modo più sereno. Più disinvolto.
Anche la Padrona se ne accorge.
Ti va bene che devo andare ora Francesca, che altrimenti ricominciavo a scoparti.
Quello no, quello Francesca non lo reggerebbe, ne è abbastanza certa, anche se a dire il vero non
aveva neanche mai retto un’ora vestita di tutto punto, truccata e profumata, dopo aver goduto.
E’ ora di salutarsi.
Prendono le loro cose, indossano i cappotti.
La Padrona accompagna Francesca alla porta.
Un abbraccio. Non c’è bisogno di dire molto dopo un pomeriggio così.
Tornata nella stanza Francesca si allunga sul letto.
Strano all’improvviso essere lì da sola.
E’ tempo di rimettere insieme i pezzi, tutti i pezzi di un pomeriggio infinito. Infinito per le emozioni
vissute e le sensazioni. Un pomeriggio da escort prima, un pomeriggio da schiava poi.
Si spoglia. Si strucca con attenzione e si butta sotto la doccia. Una lunga doccia ristoratrice.
Quando si asciuga non può non soffermarsi sulle sue gambe lisce e depilate.
E’ quasi un automatismo, prende un brasiliano invece del suo intimo “da strada” e un altro paio di
collant. Si, oggi deve andare così.
Fa una foto alle sue gambe allo specchio e la manda alla sua Padrona
Oggi vado a casa così, tua, sempre. ♥
Grazie Padrona. Grazie di questo regalo.


LA SORPRESA

Al suo arrivo aveva trovato la porta socchiusa, era entrata.
La Padrona non c’era, o meglio, c’era sicuramente ma molto probabilmente era in salotto e la porta
era chiusa. Francesca fece ciò che doveva, semplicemente andò nella stanza dei giochi ed iniziò a
prepararsi.
Per terra, ad attenderla, un paio di stivali e sul tavolo un vestito.
A modo loro erano ordini della sua Padrona.
La fecero sentire nel posto giusto.
Sull’altro tavolo i trucchi e la sua parrucca.
Si preparò. Con cura, con attenzione. Si fece figa. Con quel misto di inquieta e trepidante attesa
per ciò che sarebbe stato.
Due cose sapeva dell’incontro che avrebbero avuto, la prima è che Fabio aveva concordato con
Reica che lei sarebbe stata a sua completa disposizione per due ore e mezza. E che poteva farne
ciò che voleva.
Poi lui sarebbe passato a prenderla.
Due ore e mezza.
Le altre volte che lui l’aveva prestata a Reica non c’era mai stato un tempo definito, quando
l’incontro era finito l’avevano chiamato e lui era passato, ma ora questo tempo era un’incognita..
Certo, se Reica si fosse stufata prima non sarebbe stato un problema, ma se Francesca si fosse
stancata, se non avesse retto il gioco, se avesse chiesto alla Padrona di chiudere? Ecco, la vera
domanda che frullava nella testa di Francesca era proprio quella, ma lei avrebbe avuto il diritto di
chiedere di chiudere l’incontro?
Certo, c’era una safeword, ma sarebbe solo servita a chiudere quel gioco, non l’incontro.
Questo era il pensiero che eccitava e terrorizzava Francesca al contempo: essere nelle sue mani,
non poter opporsi, perdere la libertà – per due ore e mezzo.
Non era forse quello il vero significato di sentirsi schiava?
E proprio da quanto questo pensiero le piacesse lei riusciva a riconoscere quanto fosse
intimamente schiava.
La seconda cosa che sapeva gliel’aveva scritta direttamente Reica la sera prima via messaggio
“Ciao Francesca, che bello che domani ci vediamo. Spero tu sia in forma perché ho una gran
voglia di sfogarmi, di brutto.” Aggiunse due labbra rosse, una sorta di firma che usava spesso, e
sotto “ps. Sono seria”.
Era stata soprattutto la seconda parte del messaggio a lasciarla un briciolo turbata, la prima tutto
sommato faceva parte del gioco, anche se la Padrona non le aveva mai scritto un messaggio del
genere, ma dover ribadire che era seria significava certamente qualcosa in più. Non sapeva cosa
rispondere, ogni parola le sembrava di troppo, alla fine decise per un “Sarò la tua schiava”.
Di fatto, era la verità.
E qui era, dunque, in attesa di poter e dover finalmente soddisfare quei bisogni e i propri sogni.
Indossò quella che di fatto era ormai diventata la sua divisa da schiava e che lei adorava, un
vestitino nero, i collant color nudo e gli stivali. Era rimasta in dubbio se indossare o no l’intimo, ma
poi aveva deciso di si, un brasiliano nero.
E per ultimo il collare, ovviamente.
Era pronta, e si piaceva; andò dalla Padrona, quasi tremante dall’emozione. Bussò alla porta
Vieni Francesca
Sorpresa
La Padrona indossava la catsuite che lei conosceva, ma una maschera di latex le copriva il volto
lasciando scoperta solo la bocca e gli occhi.
Era bellissima, ma al contempo distante, impersonale, fredda.
No, non fredda, per nulla, Reica era sempre bollente a dire il vero, ma era diventata severa,
meravigliosamente severa. Ma tremendamente eccitante, questo era sicuro.
Era lei, ma poteva essere chiunque. E Francesca all’improvviso poteva essere la schiava di
chiunque. E le tornò in mente il messaggio della sera prima.
Sei sorpresa Francesca?
Si, Padrona. Francesca era quasi senza parole.
Reica sorrise.
Andiamo di là, disse. E la voce per fortuna era calda e meravigliosa come sempre.
Si sfiorarono andando nell’altra stanza, Francesca trasalì. Quanto le era mancato quel contatto.
Abbassò la luce, e si avvicinò a lei.
Teneva nella mani una maschera che le fece indossare. Le copriva interamente il volto, lasciando
spazio solo per i suoi occhi e la sua bocca, e i capelli, che scendevano lunghi su schiena e collo.
Si guardarono negli occhi, in silenzio. Non erano più necessarie le parole.
Slacciò il collare e lo richiuse sopra la maschera, a tenerla ferma al suo posto.
Eccola, la mia schiava – disse lei.
Un brivido.
Poi prese il suo bavaglio, quello che avrebbe reso strozzati i suoi lamenti. Francesca aprì la bocca
spontaneamente, che in verità non desiderava altro..
E di nuovo la guardò negli occhi mentre sentiva la pallina entrarle profondamente in bocca e poi la
cinghia chiudersi stretta intorno alla sua nuca. Entrambe ormai sapevano quanto lei adorasse
quella sensazione. Reica legò la cinghia sull’ultimo buco possibile, meravigliosamente stretta.
Francesca emise un gemito
Reica sorrise sotto la maschera, era il gemito che la Padrona aspettava.
Quel giorno aveva una voglia infinita di sentirla gemere.
Poi le prese i polsi e lì legò stretti fra di loro.
La maschera, il bavaglio, la corda, i primi momenti negli incontri con la Padrona erano densi di
emozioni. Un accavallarsi di sensazioni che Francesca avrebbe voluto godersi per ore, prima il
lieve perdersi dei sensi, dell’udito soprattutto, con la sensazione di contenimento ed straniamento
che la maschera le regalava, poi la corda, quella sensazione di perdita di libertà, di abbandono
all’altro… la facevano sciogliersi. Ma non c’era tempo, Reica sembrava spinta da una dinamica
diversa, come se dovesse soddisfare un suo intimo ed urgente bisogno.
E Francesca sentì che le serviva proprio a questo.
La condusse verso il bordo del tavolo e poi spinse il suo busto in avanti, fino a che non si
appoggiata al tavolo. Poi prese la corda che legava i polsi e la fissò all’altro capo del tavolo.
In silenzio tornò dietro di lei
E Francesca all’improvviso seppe ciò che la aspettava.
La vide cercare un frustino e camminare per la stanza accarezzandolo. La guardava, dall’esterno
si sarebbe detto che se la gustava, se la pregustava, aveva evidentemente voglia di sfogarsi e
Francesca glielo avrebbe permesso. Avrebbe fatto di tutto per permetterglielo.
“E ora dimostrami quanto sei mia Francesca. Non muoverti” Le disse accarezzandole le natiche.
L’intensità dei colpi fu pari alla severità del look della Padrona. Chissà, forse lo aveva scelto
proprio per quello.
Arrivò il primo, poi il secondo. E il terzo. Ed ancora il quarto. E poi quelli che a Francesca parvero
infiniti altri. I gemiti di Francesca, o forse si sarebbe dovuto dire, le urla strozzate di Francesca
sembravano eccitare la Padrona.
Alcuni colpi furono forti, altri fortissimi. Di tanto in tanto una carezza, e poi altri ancora.
E ancora urla strozzate. E ad ogni urlo un sospiro di Reica, soddisfatta.
Voleva sentirla gemere, urlare, soffrire, godere, voleva sfogarsi, voleva portarla oltre i sui limiti.
E lo fece.
Quando si fermò Francesca a stento ancora capiva qualcosa, sentiva solo le natiche bruciare e la
corda intorno ai suoi polsi che la obbligava in quella posizione.
Sentì la Padrona armeggiare, non osava guardare. Anche se la vista del suo volto coperto dalla
maschera nera la intrigava sempre.
Poi la sentì dietro si sé. “Tutto bene Francesca?”, ah quella voce, quanto le era mancata, un
gemito e un lieve cenno del capo per confermarle la cosa. “Perché non ho ancora finito con te”
Un altro gemito, Francesca neanche seppe esattamente individuarne il significato dentro di sé,
semplicemente le uscì.
Sentì la Padrona alzarle il vestitino, che già lasciava scoperte le natiche essendo lui cortissimo e
lei piegata in avanti. Poi le abbassò i collant. Spostò il brasiliano.
E poi lo sentì.
Il suo fallo
Trasalì
Sentì le mani della Padrona che le prendevano i fianchi. Due mani forti, adorò quella presa;
sapeva che l’avrebbe presto devastata, ma quel momento era tutto quello che aveva sempre
desiderato.
E poi lo sentì, che si faceva strada dentro di lei, entrava e si prendeva quello spazio che la mente
di Francesca non vedeva l’ora di concedergli e che il corpo di Francesca era invece riluttante a
cedere.
Dolore.
Ma Reica questa volta sembrava voler andare per la sua strada. Le serrava i fianchi e spingeva.
Sentì finalmente il ventre di lei dietro di se, il suo corpo.
Meraviglia, dolore, calore, abbandono. Casa
Siiii avrebbe detto Francesca se solo avrebbe potuto parlare e invece gemeva e basta.
Mentre l’altra se la scopava
Una mano sul fianco a premerla contro di sé e l’altra ad afferrarle i lunghi capelli che uscivano
dalla maschera tenendole la testa all’indietro ed obbligandola in una posizione meravigliosa.
Avrebbe voluto girarsi, guardarla negli occhi, godersela, in fondo Reica l’aveva abituata a questo,
ed invece no, questa volta fu diverso.
Immobilizzata, bloccata, depersonalizzata attraverso la maschera. Si sentì semplicemente usata. E
all’improvviso si sentì davvero schiava. Per la prima volta violentata.
Un'emozione fortissima, densa, avrebbe solo desiderato un contatto con la sua Padrona, poterla
toccare, riconoscerla, essere riconosciuta.
Ma poi la foga si calmò. Sentì le mani di Reica accarezzarle la schiena.
Prese qualcosa in mano, Francesca non era in grado di vedere.
Ma lo sentì che entrava nel suo corpo che ormai non opponeva nessuna resistenza.
Accolse il plug dentro di sé, un gemito ancora, o forse era solo un sospiro.
Si sentì piena. Si sentì appartenerle, mentre le sistemava brasiliano e collant e abbassava il
vestitino.
Poi finalmente le slacciò i polsi.
Una davanti all’altra. Uno sguardo. Una carezza, che strana attraverso la maschera, che
sensazione quasi magica. “Sei stata brava Francesca”
Francesca non era in grado di rispondere nulla, solo avvicinò il suo capo a quello della Padrona,
cercò un contatto, una carezza fra maschere, i corpi vicini, il respiro.
Reica le concesse questo contatto, sentì quanto bisogno ne avesse dopo l'intensità precedente, e
Francesca intimamente la ringraziò.
“Guarda che non ho mica ancora finito con te cara” - quella voce di nuovo, l'avrebbe portata
ovunque con quella voce.
Qualche minuto dopo Francesca era di nuovo immobilizzata. Al muro
La cintura strettissima a bloccarle i polsi, il collare legato al muro a lasciarle pochissimo spazio di
movimento.
Francesca si era sempre chiesta se la Padrona avesse colto quanto la eccitava quella posizione,
non poter muovere il capo e sentire il collare tirare la scaraventava altrove.
Come una cagna, una cagna da usare a proprio piacimento. E poi si sentiva sexy, non si spiegava
neanche lei perchè, ma lì bloccata contro il muro si sentiva incredibilmente figa.
La cerniera del vestito leggermente abbassata a scoprirle il petto.
Gli occhi della Padrona dritti nei suoi iniziò a torturarle capezzoli con le unghie.
Li mordeva, li stringeva, li strizzava.
Dolore ed indescrivibili sensazioni,
i tacchi, il plug, le mani legate, il collare, i capezzoli, le mani della sua Padrona ovunque, gli occhi
dritti nei suoi.
E di nuovo era sua. Le apparteneva.
Poi la Padrona prese un vibratore e glielo piazzò fra le gambe.
Francesca la implorò di no con gli occhi, provò a supplicarla con quel poco che riusciva a parlare.
Ma Reica lo accese.
E quello fu troppo.
Si Francesca, voglio vedere la mia schiava che gode. Voglio sentirla godere, voglio godermela.
La guardò dritto negli occhi e Francesca si abbandonò a lei
E di nuovo successe quello che non doveva succedere.
Ma che forse entrambe in quel momento desideravano fortemente.
Non fosse stato per quell'accordo iniziale, che passato il momento di estasi pesò su Francesca
come un macigno. Sarebbero state due ore e mezzo di incontro era stato detto e Francesca non si
sarebbe potuta sottrarre.
Forse Reica l'aveva fatto di nuovo apposta.
La liberò, le tolse il bavaglio e la lasciò andare a levarsi il plug, lavarsi e cambiarsi collant. Le disse
di non indossare intimo, solo collant.
Quando rientrò nella stanza dei giochi, incerta e turbata, trovò la Padrona senza maschera.
A lei però non la tolse. Schiava era stata e schiava sarebbe ancora stata dunque.
Le chiese di aiutarla a rassettare la stanza, dal di fuori si sarebbe detto che fosse un modo per
lasciar decantare Francesca e alleggerire le sensazioni pur mantenendo la relazione salda nelle
sue mani.
Ma poi la chiamò a se nuovamente.
Teneva corda nelle sue mani e Francesca seppe ciò che l'avrebbe aspettata.
La fece salire sulla sedia ginecologica e le sistemò le gambe sui sostegni.
Francesca era visibilmente turbata, la cosa indubbiamente era percepita da Reica che se la
godeva.
Poi prese una corda e legò ciascun polso con la caviglia corrispondente; da quella posizione non si
sarebbe più mossa.
Quello che successe dopo fece rimanere Francesca senza parole.
E difficile da raccontare, non tanto per i fatti di per sé, che sono banali, ma per dove questi fatti
gettarono emotivamente Francesca. Avrebbe voluto scappare. Ma adorava la sua Padrona per
quello che le stava facendo vivere.
Quello che Reica fece, fu semplicemente il farle la ceretta. Fra le natiche. Per lasciare il suo culo
glabro e pulito.
E non fu ovviamente il dolore a rappresentare il problema, ma il farlo dopo un orgasmo di
Francesca, che nel frattempo la guardava da sotto la sua maschera.
Forse odiandola, e forse amandola alla follia.
Quando ebbe terminato la slegò, la fece alzare e la portò davanti allo specchio. La fece girare di
schiena e piegare in avanti perchè potesse ammirare il suo nuovo culo.
E' un peccato, è finito il nostro tempo Francesca, un vero peccato, perchè quasi quasi me lo sarei
scopato di nuovo il tuo culetto.. le disse guardandola negli occhi.
Ma forse sapeva che quello Francesca non lo avrebbe retto.
Le tolse la mascera
Da oggi il tuo culo sarà sempre così quando ci incontreremo, chiaro?
Si Padrona.
Bene, abbiamo finito, vai a sistemarti.
Quando arrivò Fabio Reica era di ottimo umore.
E allora com'è andata? Soddisfatta?
Lo sguardo e il sorriso di Reica furono sufficientemente eloquenti...


UN LUNGO POMERIGGIO

Sentiva il peso delle sue gambe sulla schiena ed il dolore della sua posizione che ormai teneva da
diversi minuti. Mezz’ora ci sarebbe rimasta, questo le aveva detto la sua Padrona, e lei sapeva che
così sarebbe stato, se lei non si fosse lamentata troppo, che altrimenti la mezz’ora sarebbe
sicuramente diventata più lunga, molto più lunga.
E lei cercava di essere brava, le piaceva da matti essere brava per la sua Padrona.
Anche se oggi non lo era stata così tanto, per questo ora si trovava in quella condizione, e per la
medesima ragione ci teneva a farsi perdonare.
Sentiva le ginocchia iniziare a farle male, stare a quattro zampe su un pavimento duro era
doloroso dopo qualche minuto, e poi la corda che le legava le gambe appena sopra al ginocchio le
impediva di muoversi o anche di cercare un sollievo in una posizione leggermente diversa.
Ma se la Padrona si fosse limitata a quello non sarebbe neanche stata una punizione in fin dei
conti.. ed invece..
Ed invece, imbavagliata, il capo stretto nell’imbragatura di pelle che tanto le piaceva, a quattro
zampe con le gambe legate strette fra di loro appena sopra al ginocchio. Un plug piuttosto
ingombrante infilato sotto i collant a tenerle compagnia, e poi, dulcis in fundo, una corda che le
stringeva la vita legata stretta sul suo ventre, che poi saliva fra le sue gambe a ricordare al suo
sesso la sua condizione e a tenere il plug al suo posto, e che poi continuava sulla schiena fino alla
sua testa e, legata all’imbragatura, la obbligava a tenere la testa dritta, leggermente all’indietro. Se
la testa cadeva in avanti la corda spingeva il plug e tirava di più, un’idea era perversamente
deliziosa quella della Padrona…non fosse stato per quell’altro dettaglio.
E la Padrona era lì, seduta sulla sua poltrona che leggeva, i piedi appoggiati alla schiena di
Francesca che fungeva da poggiapiedi. Sembrava non curarsi troppo di lei, a tratti le lanciava
un’occhiata e poi tornava al suo cellulare o alla sua tazzina di caffè.
“Vedi di non sbavare troppo Francesca, che poi se no ti tocca anche pulire…” le aveva detto
qualche istante prima con quel tono inconfondibile che solo chi la conosce riesce ad immaginare.
E Francesca aveva annuito, solo con un verso, vista la minuscola libertà di movimento che ancora
le era concessa.
Siamo onesti peò, non fosse stato per quell’altro dettaglio, essere lì, immobilizzata al suo servizio,
sarebbe stata la situazione più bella che lei avrebbe potuto immaginarsi.

150 MINUTI PRIMA

Francesca aveva suonato al campanello.
Finalmente, che da quando si erano accordate per quell’appuntamento non aveva pensato ad
altro. Si erano salutate, brevemente, ma nessuna delle due voleva perdere tempo.
E poi Reica glielo aveva detto “Vai a prepararti Francesca, e fatti figa che oggi voglio strapazzarti a
dovere” e l’aveva guardata, con quello sguardo che da solo bastava a far sprofondare Francesca
nei luoghi più reconditi delle sue fantasie.
E Francesca si era preparata, per bene. Si era truccata con attenzione ed era rimasta contenta del
risultato, poi aveva indossato un perizoma nero, i sui collant preferiti color nudo appena
abbronzato, e sopra un vestitino nero cortissimo, effetto bagnato, con una cerniera davanti lungo
tutta la lunghezza. Poi aveva messo la parrucca lunga di capelli castano scuri mossi che tanto le
era piaciuta quando l’aveva indossata la prima volta, si era sistemata davanti allo specchio sino ad
essere soddisfatta. Aveva aggiunto il suo collare nuovo, in pvc lucido. E le scarpe, le “sue” scarpe:
quelle chiuse in vita con due lucchetti che aveva indossato su ordine di Reica la prima volta che si
erano viste e che l’avevano trasformata all’istante in Francesca. Altissime, sexissime, scomode e
meravigliose.
Ed infine le unghie, rosse questa volta, le piaceva l’idea, e richiamavano il colore del suo rossetto.
Si era guardata allo specchio e aveva deciso che si, si piaceva, si sentiva figa.
E schiava, davvero schiava.
E anche un po’ troia, che quelle labbra rosse sembravano fatte apposta per prenderlo in bocca, le
venne da pensare con un sorriso.
E poi finalmente aveva bussato a quella porta
“Entra, Francesca”, quella voce, quel tono, così normale, come se fosse un pomeriggio qualsiasi.
E lei era entrata, e la Padrona era lì, seduta. La guardò, e seppe che no, di normale non ci
sarebbe stato proprio nulla quel pomeriggio. Le gambe accavallate, avvolta in una catsuit nera
leggermente lucida, uno stringivita a segnarle le forme. Il caschetto bianco che Francesca
adorava, e i suo occhi, truccati, bellissimi, che la guardavano. E la stregavano.
La Padrona la squadrò da capo a piedi, se la guardò per bene, la divorò con gli occhi, la fece
girare per osservarla da ogni angolo e sorrise. Compiaciuta di quanto fosse bella la sua creatura.
A quel sorriso Francesca si avvicinò, le si inginocchiò davanti e tenendosi i capelli con una mano
affinchè non le cadessero sul viso si chinò in avanti fino a baciarle i piedi.
“Sei uno schianto Padrona” disse.
“Anche tu non sei male oggi Francesca” E si avvicinò a lei. “Sei pronta?”
“Oh, si Padrona, non vedo l’ora…”
“Sarà un lungo pomeriggio, lo sai vero? Ho voglia di divertirmi come si deve con te”
“Oh si ti prego… sarà un pomeriggio bellissimo Padrona”
Reica spense la sigaretta che ancora teneva fra le mani. “Andiamo di là” disse
Ed andando nella stanza accanto notò come Francesca, che era davanti a lei, camminasse
ancheggiando lievemente ed accarezzandosi i fianchi. Si chiese se lo stesse facendo apposta, per
sedurla, o se piuttosto fossero movimenti del tutto spontanei. La femmina che era in lei che usciva
sempre di più.
La Padrona prese qualcosa dal tavolo, abbassò la luce, si girò, la guardò
“Vieni qui Francesca”
E lei vide ciò che teneva in mano.

100 MINUTI PRIMA

Una corda legava il suo collare al muro, come una cagna, lasciandole davvero poca libertà di
movimento e spazio per muovere il capo. E Francesca era in piedi, il volto della sua Padrona a
pochi centimetri dal suo.
Una larga cintura di cuoio le stringeva la vita sino quasi a non lasciarla respirare e poi le bloccava i
polsi obbligando le sue braccia a piegarsi e lasciando le sue mani in una posizione inutile accanto
ai suoi fianchi. I gomiti erano tirati all’indietro e legati l’uno con l’altro costringendo Francesca ad
inarcare la schiena ed esporre così il suo corpo, e soprattutto le natiche ed i capezzoli ai piaceri
della Padrona.
Il resto lo facevano i tacchi..
E lì era, una mano della sua Padrona fra le sue natiche, le unghie dell’altra a cercare i capezzoli.
I loro occhi non si separavano che per pochi secondi in un rincorrersi costante: la prima voleva
leggere negli occhi della seconda cosa le stesse succedendo mentre la torturava, alla seconda
serviva quello sguardo per reggere la tortura.
La prima voleva godersi l’effetto delle sue attenzioni, la seconda cercava di leggere in anticipo di
quali attenzioni avrebbe goduto.
Quando arrivò l’ennesima stretta sui capezzoli unita a quella mano in mezzo alle gambe
Francesca non resitette oltre.
Gemette e gemette ancora…
“Ti prego scopami Padrona – le parole uscirono dalla sua bocca con un tono implorante – ho
voglia del tuo cazzo Padrona…. Tentava di muoversi verso di lei, di toccarla con qualche angolo
del suo corpo, ma il collare la teneva meravigliosamente al suo posto nonostante i suoi tentativi.
“Prendimi Padrona, scopami, sfondami.. inculami…
“Ma sentila la mia piccola Francesca… “
“Oh si Padrona.. ti prego, lo voglio in bocca, in culo.. ovunque….
Reica si allontanò e andò a cercare qualcosa suo tavolo. Torno con un bavaglio, lo stesso che
voleva metterle all’inizio e che Francesca le aveva chiesto di non metterle ancora, che voleva
avere la possibilità di dirle quanto fosse bella e quanto la desiderasse. E la Padrona un po’
spiazzata aveva sorriso e aveva accettato di non metterglielo.
Ma ora era abbastanza, era bene che Francesca fosse rimessa al suo posto.
Rimase davanti a lei qualche secondo guardandola.
E poi arrivò. Uno schiaffo. Il primo schiaffo che la Padrona aveva mai dato a Francesca. Non forte,
ma inesorabile e soprattutto inaspettato.
E la Padrona, che intimamente la conosceva bene, sapeva che era il gesto che contava, non il
dolore. E sapeva che quel gesto l’avrebbe rimessa al suo posto, all’istante. E sapeva anche che le
sarebbe piaciuto. E così fu.
“Francesca, Francesca.. – aggiunse con un tono accogliente ma inesorabilmente asciutto - cerca
di ricordarti che sei una schiava, solo una schiava… lo sai che mi piace quando hai voglia.. e mi
piace anche quando me lo dici.. ma vedi di non esagerare. Sono io che decido qui.. e sono io che
decido, se, quando e cosa ti faccio” E prima che Francesca potesse rispondere legò strettissimo
quel bavaglio, spingendo la pallina nera sino in fondo alla sua bocca, lasciandola ammutolita.
“E adesso girati” le intimò.
I colpi sulle natiche arrivarono forti, come sempre con la Padrona. Dolorosi.
Sapeva che erano la punizione per come si era appena comportata anche se la Padrona non
aveva detto nulla.
Quel collare che la teneva ferma, la postura obbligata e il bavaglio stretto uniti al dolore dei colpi
scaraventarono Francesca là dove la Padrona voleva, la trasportarono lentamente in un luogo
parallelo, quel luogo dove solo contava la volontà della Padrona e lei non era che un oggetto nelle
sue mani. A tratti il dolore improvviso dato dai colpi sembrava intollerabile, ma non poteva
muoversi, non poteva sottrarsi. E i colpi continuavano.
Gemette, urlò e gemette ancora e urlò ancora…
Quando terminarono Francesca non sapeva più se esserne contenta o dispiaciuta, anche se il
dolore l’aveva portata al limite e senza il bavaglio avrebbe implorato la Padrona di fermarsi ben
prima.
Ed ora era lì di nuovo, che la accarezzava, che si godeva la sua schiava e quel corpo a suo
disposizione. Le accarezzò molto dolcemente le natiche, calde per le attenzione subìte, le piaceva
sempre quanto Francesca assecondasse le carezze, poi salì lungo i fianchi, lentamente, e cercò di
nuovo i capezzoli e guardandola dritta negli occhi glieli strinse fra le unghie.
E non mollò.
La portò al limite, di nuovo, e colse nei suoi occhi, il piacere, l’estasi, il dolore, la devozione, e
infine l’abbandono. E sorrise soddisfatta.
Le accarezzò una guancia e si avvicinò a lei. Sentì come Francesca avesse bisogno di un
contatto, di come cercasse il suo corpo, il calore, la presenza, un contenimento. E glieli offrì.
E quando i corpi furono a contatto le sussurrò nell’orecchio soddisfatta
“Brava Francesca.. brava”
E sentì Francesca sciogliersi. E gemere felice.

60 MINUTI PRIMA

Sentiva le sue dita nel suo corpo, dapprima due, poi tre. Entravano, si facevano strada, sentiva
che la aprivano, lentamente.
Lei era sulla sedia ginecologica, ancora imbavagliata. Le mani erano state slegate dalla cintura e
ora fissate al muro dietro la sedia. La gambe forzatamente divaricate appoggiate ai sostegni.
Le stava facendo venire voglia, la scaldava lentamente.
Invece di abbassarle i collant questa volta glieli aveva strappati, e quel gesto da solo era stato
memorabile per Francesca, legata com’era, come se stesse per essere violentata.
Ad un certo momento fu certa che la Padrona avesse quattro dita dentro di lei.
Era calda, non desiderava altro che essere presa, posseduta, scopata.
E poi vide la Padrona prepararsi, accarezzare il suo fallo e avvicinarlo al suo corpo.
E la sentì, che lentamente si faceva strada in lei, sempre più a fondo, e la apriva, e lei non poteva
opporsi e comunque non lo avrebbe fatto, che non desiderava altro che farsi scopare.
E si sentì sua come non mai.
E la Padrona si divertiva, entrava in lei lentamente guardandola dritto negli occhi, e poi
rapidamente sbattendoglielo fino in fondo, e poi lentamente appoggiando il suo corpo a lei – e
questo faceva impazzire Francesca.
La guardò negli occhi, le slacciò le manette di cuoi dal muro e le tolse il bavaglio “vieni –le dissevoglio
vedere quanto sei troia davvero”.
Le fece togliere le scarpe, si sedette comoda sul divano, la schiena comodamente appoggiata allo
schienale. “Vieni Francesca, prendilo in bocca.”
Si inginocchiò di fronte a lei e iniziò. Dapprima a leccarne i lati, lentamente, poi la testa, poi a
succhiare. Guardava la Padrona che si godeva la scena. Con una mano teneva i capelli e con
l’altra il fallo e lo succhiava avidamente, finchè la Padrona non la fermò.
“Vieni Francesca, a cavalcioni sopra di me.”
Ubbidì, incerta. Non si era mai trovata in quella situazione, né qualcuno le aveva mai chiesto
questo.
Si mise in ginocchio seduta sulla Padrona, trovò la posizione giusta dopo qualche tentativo, la
Padrona tenne il fallo con le mani mentre lei ci si inculò sopra lasciando che entrasse nel suo
corpo.
Francesca non aveva tanta esperienza, le poche volte che era stata scopata era stata presa, e
sempre da dietro. La prima che l’aveva scopata guardandola negli occhi era stata proprio la sua
Padrona e già quello era stato intensissimo.
Ma quello che la Padrona le chiedeva ora era tutt’un'altra cosa. Non avrebbe mai immaginato di
poterlo fare. Era imbarazzante… ma Reica la guardava con quegli occhi magnetici… “
“Avanti Francesca, inculati da sola”
E poi successe l’imprevedibile.. l’imbarazzo passò, Francesca non smise di guardarla e
lentamente trovò la sua posizione ed il suo ritmo.
E poi fu un crescendo che sorprese entrambe, ancorchè per ragioni diverse. Francesca iniziò a
gemere di piacere, sentiva i lunghi capelli scenderle lungo il corpo, si accarezzava il vestito che le
lambiva i fianchi, e i collant sulle gambe, e accarezzava la Padrona e si reggeva a lei per incularsi
meglio e si godeva la mani della Padrona che la accarezzavano ovunque e la facevano sentire
così troia.
I loro movimenti si sincronizzarono, e il corpo di Francesca li amplificava… e così i suoi gemiti.

30 MINUTI PRIMA

Francesca era sdraiata sul tavolo, su un fianco, quel tavolo che aveva sempre guardato con
curiosità e che la Padrona non aveva ancora mai usato con lei.
Le aveva legato di nuovo i polsi dietro la schiena e le caviglie. Poi aveva passato una corda fra i
polsi e le caviglie così da fissarla in un hogtie strettissimo, una posizione che Francesca adorava.
La faceva sentire meravigliosamente vulnerabile e splendidamente schiava.
I collant ancora strappati, i piedi scalzi, il perizoma fradicio di tutto, immobilizzata ma libera di
divincolarsi quanto voleva, i capelli ovunque, guardava la Padrona chiedendosi cosa ancora
avesse in mente.
Di colpo da un momento all’altro la Padrona aveva interrotto quella che nella testa di Francesca
sarebbe rimasta in mente come una scopata memorabile. “Basta, ti sei divertita abbastanza” e
l’aveva fatta alzare e distendersi sul tavolo. E lì ancora era.
E poi trasalì, e capì cosa la aspettava.
La Padrona teneva in mano una candela rossa e un accendino.
Le aprì il vestito sul petto fino a lasciarla nuda dalla vita in su e accese la candela.
La guardò una volta ancora negli occhi senza dire nulla.
Le gocce iniziarono a cadere sul petto, meravigliosamente bollenti. Le prime quasi insopportabili,
poi sempre di meno. Cadevano copiosamente. La riempivano.
Poi la Padrona alzò il suo vestitino e la fece distendere sul ventre. Teneva i polsi e le caviglie
spostati in modo da scoprire il suo culo e poi si divertì. Qui non furono gocce a scendere, non
propriamente, piuttosto brevi colate, sulle natiche, sui collant e sulla pelle, e poi sempre più verso il
centro. Francesca era in estasi, immobilizzata dalle corde e dalla mano della Padrona il suo corpo
stava per impazzire.
E poi successe quello che non doveva succedere.
Aveva cercato di fermare la Padrona, di dirle di aspettare un secondo. E ora le veniva il dubbio che
non si fosse fermata apposta, per vedere quanto la sua schiava fosse in grado di controllarsi.
Ma lei non lo era stata. Non era riuscita a controllarsi.
Erano bastati pochi istanti a Reica per capire che era venuta.
Si era fermata e aveva spento la candela.
Poi tornò da Francesca e la slegò. “Cos’hai combinato Francesca?”
“Mi spiace Padrona, non volevo, non sono riuscita a trattenermi.. sono mortificata”
“Ma guardala, non è riuscita a trattenersi dal piacere la troietta…beh, io però non avevo finito con
te, come facciamo adesso?
“Non lo so Padrona”
“Ah, lei non lo sa… te lo dico io come faremo Francesca, semplicemente continueremo finchè non
sarò soddisfatta..” e rise. “Ti lascio cinque minuti, vai in bagno a sistemarti, capelli e tutto. Spero tu
abbia un altro paio di collant con te. Va’”
Francesca prese le sue cose, si chiuse in bagno e si diede una sistemata.
Ma sistemarsi esteriormente non sarebbe stato il problema. Il problema era, e la Padrona lo
sapeva bene perché ne avevano parlato, che dopo un orgasmo essere schiava sarebbe davvero
stato una prova. Essere Francesca sarebbe stata di per sé già una prova. Forse una vera prova di
appartenenza, di schiavitù visto che soddisfare la Padrona era il vero scopo, non i propri desideri..
Ad ogni modo non sarebbe servito a nulla pensarci ora, e dunque si concentrò sul da farsi, si lavò,
pettinò, sistemò rapidamente il trucco. Cambiò i collant e indossò il vestitino nero della Padrona,
quello che le piaceva un sacco, corto e leggero. Rindossò le scarpe e si ripresentò dalla Padrona.

DIECI MINUTI PRIMA

Francesca non aveva idea di cosa la Padrona avesse in mente.
Ma le fu presto chiaro.
La cosa più dolorosa e umiliante fu il plug; non che il suo corpo non lo accettasse, era la sua
mente piuttosto che faceva fatica a stare in quella posizione di sottomissione.
E poi venne l’imbragatura, e il bavaglio. La corda intorno alle gambe, e alla fine quella fra le sue
gambe.
E Francesca accettò tutto, per non deludere la sua Padrona.
E si trovò a farle da poggiapiedi.

DIECI MINUTI DOPO

Era sola.
Sola coi suoi pensieri e le sue emozioni.
Era sola da un tempo che le sembrava lunghissimo.
Dopo che la Padrona l'aveva lasciata andando nell'altra stanza, si era concentrata sui rumori che
riusciva a sentire; cercava di indovinare cosa stesse facendo. Ma poi non aveva più sentito nulla.
Sensazioni infinite, contraddittorie, pensieri che la attraversarono, emozioni che andavano e
venivano. Voleva andarsene, non essere lì, ma voleva rimanere e godersi le corde.
Un filo di agitazione.
Torna qui da me, ti prego.
Voleva potersi fare una doccia e cambiarsi e voleva stare lì a vedere quanto sarebbe successo.
Voleva che la Padrona fosse lì.
Paura. Ti prego, ti prego, torna, stai qui con me.
Voleva togliersi quella parrucca che in quel momento odiava
E il bavaglio, quello era tremendo da sopportare.
Ti prego torna.
Eppure, da qualche parte, nel fondo dell’anima si sentiva esattamente quello che aveva sempre
desiderato essere. La schiava della sua Padrona.
Aveva cominciato inavvertitamente a cullarsi con la corda che le passava fra le gambe. Muoveva
delicatamente il capo su e giù e la corda tirava, e poi lasciava, e tirava ancora.
La faceva sentire meno sola. La distraeva dalla paura.
Era persa nei pensieri quando sentì qualcosa accarezzarle una natica.
La Padrona era tornata.
Un lieve gemito di felicità. Brevissimo.
All’improvviso un urlo, strozzato dal bavaglio.
Aveva usato il frustino.. era il frustino che l’aveva accarezzata, ma non se ne era accorta.
Reica era in piedi dietro di lei. In silenzio.
L’unico rumore erano i colpi sui glutei e le urla strozzate di Francesca. Immobilizzata.
Le pause fra un colpo e l’alto erano devastanti.
Il dolore dei colpi, intensissimo
Il desiderio che smettesse, presente
La lieve eccitazione, spiazzante.
E poi la slegò. Corde, bavaglio, imbragatura, tutto. Lasciò solo il plug che i collant continuavano a
tenere al suo posto.
Francesca era in ginocchio davanti alla Padrona.

30 MINUTI DOPO

In piedi davanti alla porta si abbracciarono.
Grazie Padrona, non ho parole per dove mi hai portato, sei stata meravigliosa.
Grazie a te Francesca, è stato un lungo pomeriggio.. mi sono divertita un sacco con te. Sei sempre
la mia schiava preferita, torna a trovarmi presto.
Una carezza sulla guancia, uno schiaffetto quasi, un sorriso, e ancora una volta quello sguardo.
Ma era ora di andare.


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